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Anziani nelle Rsa. In Italia sono 250 mila ma uno su tre soffre di depressione

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Sono circa 250 mila, per il 76% donne, di età superiore agli 80 anni in 2 casi su 3. È l’esercito di ’tempie grigie’ che vivono nelle residenze italiane per anziani. Un mondo fatto sempre più di persone molto in là con gli anni, dove i 75enni sono considerati ospiti giovani, e la normalità sono non autosufficienti e persone affette da demenze. I problemi di salute sono quelli legati all’avanzare delle malattie croniche, ma superata la soglia dei 75 anche l’anima è fragile. Ed ecco che, «se la prevalenza della depressione nell’anziano si attesta a quota 15-20%, nelle residenze per anziani fa i conti con il ’mal di viverè quasi un anziano su 3 (30%)». È questo il quadro complesso che i medici e il personale delle strutture della Penisola – molto diverse fra loro per standard qualitativi e tipologia di offerta, anche a seconda della collocazione geografica – si trovano a gestire. A tratteggiarlo il geriatra Marco Trabucchi, del Dipartimento di medicina dell’università di Roma Tor Vergata, componente del Gruppo di ricerca geriatrica di Brescia.

«Di queste realtà si sente parlare poco», osserva. Spesso l’occasione è la denuncia di casi di malpractice, abusi o situazioni di degrado. Per il resto le residenze per anziani sono ’invisibilì. «Ma dovrebbero tornare sotto i riflettori, diventare protagoniste di un processo di adeguamento ai nuovi bisogni di una società che invecchia», sottolinea Trabucchi, motore insieme a Giuseppe Bellelli della Clinica geriatrica dell’università degli Studi di Milano-Bicocca, ospedale San Gerardo di Monza, di un progetto presentato oggi a Milano e realizzato con il contributo incondizionato di Sanofi.

Si chiama ’M.a.r.a.’ e punta al miglioramento dell’assistenza nelle residenze per anziani. Con un gruppo di lavoro, composto da medici e operatori di residenze per anziani presenti in Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, i due specialisti si sono occupati di elaborare raccomandazioni e indicazioni, raccolte in un volume. Obiettivo: rendere la vita degli anziani istituzionalizzati sempre più libera da sofferenze o inutili limitazioni.

Nel volume le indicazioni vengono proposte in capitoli specifici, divisi per patologie: diabete, infezioni polmonari, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, trombosi venosa profonda. Quando si affronta il tema della qualità delle cure all’anziano, non si possono dimenticare i dati, sottolineano gli esperti: «La domanda di assistenza sarà in costante crescita, spinta dall’aumento del peso degli ultra 80enni sulla popolazione complessiva dagli attuali 2,9 milioni di persone a oltre 7,7 milioni nel 2030, e del tasso di non autosufficienza dagli attuali 2 milioni a un totale di 3,5 milioni nel 2030».

Il quadro, aggiunge Trabucchi, si completa con «i mutamenti intervenuti a livello sociale e con il profilarsi di nuovi nuclei familiari in cui il caregiving trova sempre meno spazio, anche se oggi assistiamo anche a un fenomeno di ritorno: il licenziamento di molte donne nel settore dei servizi e dell’industria ha portato queste persone a dedicarsi nell’ambito familiare, ma anche a pagamento, alla funzione di care giving e badanti. Spinge nella direzione opposta l’innalzamento dell’età pensionabile per il gentil sesso».

Certo è che secondo i dati Istat ricordati oggi, il numero di nuovi nuclei familiari composti da persone sole (single, vedovi o separati-divorziati) è più che raddoppiato tra il 1998 e il 2009. Tutti fenomeni che, «unitamente alla crisi economica che determina una contrazione delle risorse destinate all’assistenza, impone una nuova sfida a chi opera in ambito geriatrico ed è chiamato a trovare nuove strade percorribili per far fronte ai bisogni emergenti di questo segmento della società, sempre più fragile».

Oggi, però, «la risposta fornita è carente e ancora di più lo sarà domani – avverte il geriatra – se non si interviene prontamente». Il problema, sottolinea Trabucchi, è anche un altro: «Invecchiando si sta bene a casa propria e la società dovrebbe trovare gli strumenti perché questo sia reso possibile. Dove la situazione di salute o familiare non lo permette, e se appunto il sistema di assistenza domiciliare non regge, scatta il ricovero in Rsa, dove i primi problemi da affrontare sono di natura medica per una gestione umana e dolce delle malattie croniche, ma anche al massimo delle potenzialità tecniche. Sarebbe un errore umano, medico e organizzativo considerare le residenze per anziani dei luoghi dove andare a morire».

Fonte AdnKronos

27 Marzo 2012 | Fondazione F.Turati OnlusPubblicato in: Notizie, Primo piano
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