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Se si perde l’ autonomia, meglio a casa o in un istituto?

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La domanda, molto interessante, soggettiva e di difficile risposta, è proposta nell’articolo di Claudio Mencacci pubblicato dal Corriere della Sera il 7 aprile’12. Lo proponiamo ai nostri lettori, condividendone e sottolineandone un passaggio: “Compito dei familiari è sempre di vigilare con attenzione tutte le condizioni di assistenza sia che l’ anziano rimanga nella sua casa o ricoverato, assicurando inoltre continuità di visite e di scambi affettivi. Andrebbe sempre evitata la discesa in una condizione di isolamento sociale e di perdita di speranza. Un ambiente affettuoso, ricco di stimoli e di interazioni umane, dovrebbe essere garantito in entrambe le scelte.” Ambiente affettuoso, ricco di stimoli e di interazioni umane. Siamo orgogliosi di riscontare ogni giorno questo ambiente nei nostri Centri Socio Sanitari di Gavinana e Vieste, dove gli anziani ospiti non rappresentano per noi un numero ma una vera e propria mission.

Il progressivo invecchiamento della popolazione ha comportato profondi cambiamenti nella società e nelle dinamiche intra familiari. Per molti anziani la famiglia rappresenta l’ intero spettro assistenziale, dal supporto affettivo a quello economico. Quando l’ anziano vive solo e necessita assistenza quali sono le variabili da considerare per una sua buona gestione che tenga in considerazione una qualità di vita soddisfacente? Se l’ anziano è in condizioni fisiche ancora non compromesse e ha mantenuto discrete capacità cognitive, rimanere a casa tra i propri ricordi, in un ambiente a lui familiare, accudito da una badante, se possibile premurosa, sicuramente rappresenta la soluzione migliore rispetto a una casa di riposo. Capita però, soprattutto nelle donne, che si verifichi un rifiuto verso la figura della badante, in tal caso i familiari con pazienza, costanza e determinazione si trovano costretti a imporre al proprio congiunto tale presenza. Quando la gestione domiciliare dell’ anziano, soprattutto per problemi di decadimento cognitivo e anomalie comportamentali, diventa impossibile, il ricovero diviene la soluzione più adeguata. Tale decisione, spesso foriera di sensi di colpa nei familiari, garantisce una migliore assistenza sanitaria, ma minor supporto affettivo aumentando così il rischio dello sviluppo di depressione che va prontamente riconosciuta e curata perché amplifica il dolore, riduce la motivazione a curarsi, peggiora la prognosi, incrementa la disabilità e infine aumenta la mortalità, anche per suicidio, soprattutto negli uomini. Compito dei familiari è sempre di vigilare con attenzione tutte le condizioni di assistenza sia che l’ anziano rimanga nella sua casa o ricoverato, assicurando inoltre continuità di visite e di scambi affettivi. Andrebbe sempre evitata la discesa in una condizione di isolamento sociale e di perdita di speranza. Un ambiente affettuoso, ricco di stimoli e di interazioni umane, dovrebbe essere garantito in entrambe le scelte. «…e ci sono delle voci, segnali di vita ovunque ancora, ci avviciniamo al nulla, al cuore» (di C. Lievi) *Direttore Neuroscienze A.O.Fatebenefratelli e Oftalmico Milano] Il progressivo invecchiamento della popolazione ha comportato profondi cambiamenti nella società e nelle dinamiche intra familiari. Per molti anziani la famiglia rappresenta l’ intero spettro assistenziale, dal supporto affettivo a quello economico. Quando l’ anziano vive solo e necessita assistenza quali sono le variabili da considerare per una sua buona gestione che tenga in considerazione una qualità di vita soddisfacente? Se l’ anziano è in condizioni fisiche ancora non compromesse e ha mantenuto discrete capacità cognitive, rimanere a casa tra i propri ricordi, in un ambiente a lui familiare, accudito da una badante, se possibile premurosa, sicuramente rappresenta la soluzione migliore rispetto a una casa di riposo. Capita però, soprattutto nelle donne, che si verifichi un rifiuto verso la figura della badante, in tal caso i familiari con pazienza, costanza e determinazione si trovano costretti a imporre al proprio congiunto tale presenza. Quando la gestione domiciliare dell’ anziano, soprattutto per problemi di decadimento cognitivo e anomalie comportamentali, diventa impossibile, il ricovero diviene la soluzione più adeguata. Tale decisione, spesso foriera di sensi di colpa nei familiari, garantisce una migliore assistenza sanitaria, ma minor supporto affettivo aumentando così il rischio dello sviluppo di depressione che va prontamente riconosciuta e curata perché amplifica il dolore, riduce la motivazione a curarsi, peggiora la prognosi, incrementa la disabilità e infine aumenta la mortalità, anche per suicidio, soprattutto negli uomini. Compito dei familiari è sempre di vigilare con attenzione tutte le condizioni di assistenza sia che l’ anziano rimanga nella sua casa o ricoverato, assicurando inoltre continuità di visite e di scambi affettivi. Andrebbe sempre evitata la discesa in una condizione di isolamento sociale e di perdita di speranza. Un ambiente affettuoso, ricco di stimoli e di interazioni umane, dovrebbe essere garantito in entrambe le scelte. «…e ci sono delle voci, segnali di vita ovunque ancora, ci avviciniamo al nulla, al cuore» (di C. Lievi) *Direttore Neuroscienze A.O.Fatebenefratelli e Oftalmico Milano.

Articolo di Claudio Mecacci dal Corriere della Sera del 7 aprile 2012

10 Aprile 2012 | Fondazione F.Turati OnlusPubblicato in: Notizie, Primo piano
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