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Welfare da cambiare

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Il welfare familiare è in crisi: italiani costretti a rinunciare a prestazioni sanitarie e badanti: questi i risultati de lRapporto «Integrare il welfare, sviluppare la white economy. Come gli strumenti di welfare pubblici e privati possono rilanciare la crescita economica e l’occupazione» di CENSIS-UNIPOL presentato il 9 luglio a Roma.

Il rapporto registra una inversione di tendenza rispetto a un fenomeno consolidato nel lungo periodo per cui le risorse familiari hanno compensato una offerta del welfare pubblico che si restringeva: oggi anche il welfare privato familiare comincia a mostrare segni di cedimento.

Nell’ultimo anno la spesa sanitaria privata ha registrato un -5,7%, il valore pro-capite si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno, le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di prestazioni mediche private e per la prima volta è diminuito anche il numero delle badanti che lavorano nelle case degli anziani bisognosi: 4mila in meno.

E questo mentre emerge una domanda crescente di cura e di assistenza: il Rapporto stima che i 4,1 milioni di persone in Italia attualmente portatrici di disabilità (il 6,7% della popolazione), nel 2020 diventeranno 4,8 milioni, per arrivare a 6,7 milioni nel 2040. La spesa totale per le disabilità ha registrato un forte incremento, superiore al 20% in termini reali tra il 2003 e il 2011, passando da 21,2 miliardi di euro a quasi 26 miliardi. Tra la popolazione anziana non autosufficiente cresce anche la domanda di assistenza (long term care).

Nel futuro prossimo la domanda di sanità e di assistenza crescerà a ritmi sostenuti: l’allungamento dell’aspettativa di vita, il sensibile invecchiamento della popolazione, le previsioni di incremento delle disabilità e del numero delle persone non autosufficienti fanno intravedere bisogni crescenti di protezione sociale. L’offerta pubblica non sarà in grado di farvi fronte anche tenuto conto che già oggi esiste una domanda inevasa di cure e di assistenza: il 73% delle famiglie italiane ha fatto ricorso almeno una volta negli ultimi due anni a visite specialistiche o a esami diagnostici a pagamento (in intramoenia o presso studi privati), in primo luogo per i tempi inaccettabili delle liste d’attesa. Il 31% delle famiglie ha invece dovuto rinunciare almeno una volta negli ultimi due anni a visite specialistiche, a esami diagnostici o a cicli di riabilitazione. In più, il 72% delle famiglie dichiara che oggi avrebbe difficoltà se dovesse affrontare spese mediche particolarmente impegnative dal punto di vista economico.

La sola via possibile per soddisfare questa domanda inevasa , prosegue il rapporto, è costituita dall’integrazione degli strumenti di welfare pubblici e privati: l‘Italia resta una delle poche economie avanzate in cui la spesa sanitaria out of pocket intermediata, ovvero gestita attraverso assicurazioni integrative o strumenti simili, si ferma a una quota molto bassa: appena il 13,4% del totale della spesa sanitaria privata a fronte del 43% della Germania, del 65,8% della Francia, del 76,1% degli Stati Uniti.” La presenza di operatori privati specializzati e qualificati sia nel campo delle prestazioni sanitarie che dell’assistenza, con servizi resi accessibili attraverso strumenti assicurativi integrativi, permette di fornire servizi più adeguati”.

L’esempio più eclatante è rappresentato dall’assistenza domestica tramite badanti a persone anziane o disabili, la cui domanda è decisamente in crescita: l’Italia è il Paese occidentale con la più elevata percentuale di familiari che prestano assistenza a persone anziane o disabili in modo continuativo (il 16,2% della popolazione) ed è anche il paese dove le famiglie debbono reclutare le badanti autonomamente attraverso canali informali, pagarle di tasca propria, con forme diffuse di irregolarità lavorativa, senza garanzie sulla loro professionalità e affidabilità.

Dall’ integrazione degli strumenti di welfare pubblici con il mercato sociale privato, la valorizzazione dell’economia della salute, dell’assistenza e del benessere delle persone (la «white economy»), può dare origine ad una vera rivoluzione produttiva e occupazionale, utile in questi tempi di crisi: basta pensare, evidenzia ancora il Rapporto, che il sistema di offerta di servizi di diagnostica e cura, farmaci, ricerca in campo medico e farmacologico, tecnologie biomedicali, servizi di assistenza a malati, disabili, persone non autosufficienti genera oggi un valore della produzione di oltre 186 miliardi di euro, pari al 6% della produzione economica nazionale, con una occupazione di 2,7 milioni di addetti.

Quel che manca è una matura consapevolezza collettiva: alla domanda su come si pensa di affrontare in futuro la vecchiaia ed eventuali malattie, il 52,5% degli italiani mostra un atteggiamento fatalista (non ci pensa o rinvia il problema), il 26% conta sui propri risparmi, il 25% si affida al welfare pubblico, l’8% all’aiuto dei familiari e solo il 4% ha stipulato polizze assicurative.

«Nei lunghi anni della recessione le famiglie italiane hanno supplito con le proprie risorse ai tagli del welfare pubblico», ha detto Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis. «Oggi questo peso inizia a diventare insostenibile. Per questo è necessario far evolvere il mercato informale e spontaneo dei servizi alla persona in una moderna organizzazione che garantisca prezzi più bassi e migliori prestazioni utilizzando al meglio le risorse disponibili».

18 Luglio 2014 | Fondazione F.Turati OnlusPubblicato in: Notizie, Primo piano
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